Per celebrare il suo ventennale, l’associazione Yuki ha organizzato un ciclo di quattro incontri finalizzati ad
approfondire il coinvolgimento nell’attività sportiva di quei gruppi sociali che, per complicazioni di vita
personale, hanno fatto fronte a numerose problematiche per essere inclusi nelle varie discipline.
Questa associazione, infatti, porta avanti ormai da due decenni la promozione ad ampio raggio dell’Aikido,
delle arti marziali e delle discipline olistiche a Torino e in Italia e proprio nella giornata di sabato 29 gennaio,
in occasione dell’esame per raggiungere la qualifica di Kyu e di 1° Dan da parte di una comitiva di ragazzi
diversamente abili, si è svolta la prima riunione presso la sede di via Capriolo. In piena linea con l’evento, il
tema principale attorno a cui è ruotato il convegno è stato l’integrazione della disabilità nello sport. Dopo
un’ottima introduzione condotta dalla Dott.ssa Fabiani Fabiana, presidente dell’associazione Yuki e
moderatrice dell’incontro, che ha messo in rilievo come la disabilità denota semplicemente “un’abilità
differente”, diversi esperti hanno delineato una prospettiva completa sull’argomento trattato tramite i loro
interventi relativi sia allo sport che alla disabilità.
Nell’apertura della sezione di discorsi, ci ha piacevolmente accolti un messaggio carico di motivazione
destinato agli esaminandi da parte del presidente nazionale del progetto Aiki Silvano Ferdinando, riportato
gentilmente da un altro membro del medesimo progetto, l’istruttrice Patrizia Corgiat, nel quale viene
raccontato un evento legato alla carriera agonistica del maestro stesso. In esso, il sig. Ferdinando ricorda il
giorno del conseguimento del suo esame di cintura nera, avvenuto nel 1981 dopo 8 anni di pratica
dell’Aikido. Da questo episodio è emerso quanto in quel momento fosse grande la preoccupazione
dell’allora allievo Silvano, ma lui stesso ha rammentato come subentrò una calma improvvisa nell’istante in
cui si mise a scrutare i volti dei suoi compagni. Quella per il maestro fu l’occasione per realizzare che
l’esame segnava solamente un inizio, una meta da cui partire all’interno di un viaggio più ampio intrapreso
assieme ad altre persone. Ed è proprio a questo che rimanda il significato del termine Aiki: armonia,
comunione ma anche, in senso più vasto, amore.
Il secondo intervento ha previsto la partecipazione della presidente del gruppo ARCO, la Dott.ssa Susanna
Riva. La cooperativa in questione opera da tre anni sul territorio torinese in vari ambiti come i problemi
legati alla dipendenza, l’accoglienza per gli studenti stranieri negli ostelli, l’organizzazione dei centri diurni
per i ragazzi disabili ecc., occupandosi di fragilità a 360 gradi e, grazie anche all’appoggio della fondazione
CRT e Compagnia San Paolo, dieci anni fa sono nate la palestra e il progetto EsportAbile. In questo
cammino, infatti, è stata coinvolta anche l’associazione Yuki con cui è stato portato avanti quest’ultimo
programma, di cui fanno parte i ragazzi che hanno sostenuto l’esame di passaggio di cintura. Ad oggi
EsportAbile si è anche allargata ad altre forme di fragilità prendendo in carico anche attività che
coinvolgono le madri e i rispettivi figli in difficoltà e le persone con problemi di dipendenza. A fine
intervento la Dott.ssa Riva ha dichiarato che la confederazione rimane aperta ad ogni tipo di collaborazione
con chiunque abbia da proporre nuovi progetti.
A seguire abbiamo ricevuto una presentazione realizzata dalla Dott.ssa Letizia Dan, dipendente presso i
Servizi Sociali del comune di Torino, in cui è stata rimarcata la necessità di un’attività sportiva nel progetto
di vita, in particolare da un punto di vista sociale per la crescita personale dell’individuo. La sig. Dan ha
cominciato constatando che nella relazione con le persone non può esserci finzione perché questa falsità si
rivela instabile anche nel breve periodo e, proseguendo, ha messo in risalto come le persone con disabilità
riescano a smarcare subito questi artifici. Questa è un circostanza che la sig. Dan ha potuto verificare molte
volte nel corso della sua carriera, grazie allo stretto contatto avuto con soggetti diversamente abili e, da
parte sua, è stato rimarcato che per questa categoria di persone è necessario che esista un servizio che
garantisca il raggiungimento di obiettivi relativi all’abilità, all’autonomia e all’autodeterminazione
dell’individuo. Questa riflessione ha condotto a tenere in conto che in un progetto di vita è presente la
persona, i suoi bisogni e dei progetti che si vogliono realizzare. Proprio in questo risulta l’abilità di chi è
diversamente abile, nell’esplorare le proprie capacità e nel momento in cui viene rilevato qualcosa che non
si è mai praticato, si pone uno scopo che di volta cambia a seconda dell’ostacolo superato. Il procedimento
delineato è stato paragonato dalla stessa Dott.ssa Dan alla volontà che un atleta pone nel raggiungimento
di un grado e che deve essere messa anche nella relazione con gli altri per arricchirsi e compiere un
cambiamento che permetterà in seguito il superamento di alcune complicazioni.
Riportando la discussione su un piano più legato alla sportività, il presidente dell’ACSI Franco Vaglio ha
esposto un’attenta osservazione personale sul rischio che corrono molto ragazzi di ritrovarsi soli negli
angoli delle strade a causa della mancanza di stimoli. In questo senso, il sig. Vaglio indica lo sport come
mezzo di prevenzione per situazioni analoghe e come soluzione per mettere in relazione tra di loro individui
che hanno subito questo tipo di esperienza.
Piemonte, al suo terzo ed ultimo mandato, ha compiuto un’analisi approfondita sulla grande differenza che
traspare tra le prime paralimpiadi tenutesi nel 1964 a Tokyo e quelle che si svolgono attualmente. In
principio, la sig. Bruno ha evidenziato che la disabilità nella maggiore parte dei casi è di tipo intellettiva e
per questa ragione serve un tipo di preparazione tecnica diversa. Inoltre, la Dott.ssa Bruno ha puntualizzato
l’inattuabilità dello svolgimento in concomitanza dei due tipi di olimpiade specificandone le varie ragioni. La
prima tra tutte riguarda il numero di persone che effettivamente presterebbero interesse nello specifico
alle paralimpiadi le quali, anche da un punto di vista mediatico, non riceverebbero abbastanza spazio.
L’unione delle due olimpiadi porterebbe anche a perdere tutti i progressi fatti finora in questo campo, dato
che le paraolimpiadi hanno progressivamente guadagnato un’ingente attenzione mediatica, come hanno
dimostrato quelle che si sono svolte a Londra nel 2012, dove, non solo la capienza delle tribune è stata
completamente esaurita, ma è stato compiuto un vero e proprio salto mediatico grazie all’incremento delle
testate web presenti all’evento. Questa visibilità ha avuto un’esplosione anche nella sfera dei social
network, con personalità di spicco come Bebe Vio, ed è stato un fattore che ha aiutato a sdoganare l’idea
della disabilità come aspetto di limitazione o da nascondere e ha spinto a intenderla come una condizione
della vita che può capitare e che porta a fare le cose in un modo differente. Nella parte conclusiva del suo
intervento, la Dott.ssa Bruno ha ribadito che non c’è niente di straordinario nella disabilità e che dovrebbe
essere considerata come un’altra forma di normalità senza parlare dei disabili come degli eroi o delle fonti
d’ispirazione. Ad oggi per ogni disabilità, anche quelle più gravi, esiste almeno una disciplina praticabile e la
stessa Dott.ssa promuove l’inclusione dei ragazzi con disabilità nella attività motorie nelle scuole e lavora
all’interno delle strutture ospedaliere per il recupero di persone che sono diventate disabili a seguito di un
incidente. Al fine di rendere a tutti gli effetti le persone disabili accolte nel settore sportivo, il proposito
della sig.na Bruno è quello di cercare di allagare il campo di brevetti tecnici che permettano di accedere ad
ambiti sportivi in cui viene coinvolta la disabilità
Procedendo con una valutazione psicologica del fenomeno della disabilità introdotta nelle attività sportive,
lo psicologo Dott. Gabriele Scapellato ha fornito un’indagine scrupolosa sull’inserimento di un soggetto con
disabilità all’interno di un determinato contesto sociale. Nella sua esperienza lavorativa il sig. Scapellato
aveva preso parte ad un affido di un minore con disabilità nel 2015, di cui vi era a capo la sopracitata
Dott.ssa Letizia Dan. Il suo ruolo consisteva nel fare da tramite tra il nucleo familiare e la società,
viaggiando tra diverse dimensioni, quella dello spazio e quella del tempo. Per illustrare la circostanza in cui
si è sviluppato l’affido, il Dott. Scapellato ha spiegato che noi siamo inseriti in un quadro di regole
ambientali sia oggettivamente, sia soggettivamente ed entriamo in relazione con l’ambiente e con quegli
aspetti che fanno parte delle altre persone. Di conseguenza, la nostra soggettività e oggettività viene
modificata in continuazione grazie alle esperienze e proprio l’esperienza sportiva si inserisce come matrice
relazionale, che ha una forte componente sociale, perché va a ricostruire quello che è un ambito familiare.
Andando avanti con il suo ragionamento, il sig. Scapellato ha chiarito che l’attività sportiva nasce per
un’esigenza ludica e all’interno di essa si vanno a costruire una serie di regole che costantemente si
adattano: ogni atleta si ritrova a doversi ristrutturare a seconda degli impegni presi. Tutto questo conduce
ad un risultato sia oggettivo, la propria crescita personale, sia soggettivo, il raggiungimento della
consapevolezza di sé stessi. Attraverso lo sport, infatti, impariamo ad entrare in contatto con la
responsabilità e l’autonomia. Secondo questa prospettiva, lo sport rappresenta uno spazio in cui noi
possiamo sperimentale una nuova tipologia di noi stessi, una sorta di laboratorio, che ci insegna il
significato di esclusività. In un ambiente sportivo, esistono tre fattori di cui è importante tenere conto
quando andiamo a costruire la nostra individualità: la motivazione, la curiosità e la fiducia. Noi stessi,
d’altronde, abbiamo una specifica aspettativa di come dovremmo funzionare diversa da come realmente
funzioniamo che ci dirige verso un’oscillazione tra il mondo amicale interno e quello sportivo esterno. Tutto
questo meccanismo porta sempre a creare una nuova capacità relazionale. Il Dott. Scapellato ha proseguito
mettendo a fuoco come all’interno di questa missione si va a concepire una nuova lettura delle diversità,
che deriva dalla concezione che il limite aiuta a differenziare me come persona dagli altri e permette la
conoscenza di sé stessi e delle proprie capacità. Secondo quest’ottica, la disabilità diventa un punto di forza
che può aggiungere un valore alle relazioni in campo sportivo. Conoscersi e sapere cosa si è in grado di
raggiungere è un impegno che si inserisce in una visione di cooperazione orientata ad aiutare a svilupparci
in ambito sociale. Per queste ragioni, la disabilità non viene più percepita come forma di limitazione anche
da parte dagli altri che imparano ad instaurare un rapporto stretto con essa. A fronte delle precedenti
considerazione, il Sig. Scapellato ha definito che la condivisione della propria soggettività con la disabilità è
uno scambio costante in favore di una condivisione più grande che funziona soprattutto in ambito sportivo.
A completare questo primo arco di incontri, l’associazione Yuki ha avuto il piacere di ospitare il magistrato
Fulvio Rossi che ha riportato alcune riflessioni personali sul significato di vittoria. Dal punto di vista del Dott.
Rossi, vincere a livello agonistico ha una determinata importanza, ma la vera conquista è quella che si
ottiene nella vita di tutti i giorni in ambito relazionare. Il Dott. Rossi ha evidenziato che ognuno di noi ha
delle criticità, ma queste non devono rappresentare un confine, come ha dimostrato Roosevelt che
nonostante avesse contratto la poliomielite è tutt’ora considerato uno dei tre presidenti americani più
importanti. Il sig. Rossi ha manifestato la sua ammirazione verso i ragazzi che avevano appena sostenuto
l’esame, dichiarando quanto loro trasmettano speranza, gioia di vivere e fiducia e permettano di
condividere assieme a loro il diritto alla felicità.
Ilaria Peirone